Vettorel

vettorel02Se ne stava lì, seduto al suo tavolino posto in un angolo della sala da pranzo, dove ti faceva trovare il resoconto: quattro numeri buttati giù con una lapis su un semplice foglietto di quaderno a quadri. A far di conto era insuperabile, ma il facile guadagno era una pratica che non gli si confaceva, egli sapeva bene da dove veniva. Si preoccupava innanzi tutto che tu fossi soddisfatto del pranzo che ti aveva servito nella sua osteria, tutta “roba” genuina, allevata sul cortile di casa con nutrimenti naturali. Particolarmente profumati e gustosi erano i salumi, con contorni d’erbe lessate, patatine fritte, fagioli in insalata conditi con la cipolla fresca e gli immancabili funghi del Montello. E ti accoglieva sempre con quella coinvolgente cordialità che trasmetteva serenità e ti entrava nel profondo. Era la quiete dell’animo di un nonno quella che ti accompagnava per tutta la settimana, fino alla domenica successiva quando, negli anni Sessanta, ritornavamo con gli amici a ripercorrere prese e sentieri in mezzo al bosco del Montello, per respirare a fondo quell’aria sana che a noi giovani ventenni metteva un certo “frizzantino”, frutto di un amoreggiare ancora acerbo. Antonio Vettorel era il capo carismatico di una villica numerosa famiglia, che ne aveva passate tante, ma che aveva trovato il motivo per voltare pagina nell’immediato primo dopoguerra quando, provenendo da Cordignano, venne ad insediarsi nella casa rurale ceduta dal possidente Agostini Luigi di Cusignana. L’immobile, in Via Bongiovanni, attuale Via del Solstizio, presa V, comune di Giavera - allora territorio di Arcade, località Cal de Radis - era stato acquistato nel 1924 dai genitori di Antonio, con 6,75 ettari di terreno circostante, fondo ricoperto prevalentemente di rovi e sterpaglie e disseminato di trincee, il quale, man mano che veniva dissodato, faceva emergere di tutto: pezzi di filo spinato e pericolosi residuati bellici, ma anche resti umani, ossi da morto e perfino teschi di soldati caduti in quella che era stata, dopo Caporetto, la prima linea del fronte vittorioso della Grande Guerra, conflitto che aveva visto il suo epilogo da pochissimi anni strascicandosi una collezione di lutti, malattie e miserie, immani sofferenze e lacrime… A dare un nuovo slancio alla famiglia era stato Pietro, il primogenito di Antonio e Caterina, che aveva saputo accattivarsi le simpatie dei Conti Mocenigo, che lo avevano assunto al loro servizio con l’incarico di còcio (cocchiere). Secondo la stagione, conduceva i suoi padroni sul calesse o sulla carrozza, tirati da superbi cavalli che accudiva, e teneva in ordine le vetture. Nel 1909, quando i Conti avevano acquistato la prima automobile, anzi la “carrozza senza cavalli” come la chiamavano allora, Pietro aveva imparato a guidare e divenne uno dei primi autisti a girare per la Marca Trevigiana. La sua patente di guida, rilasciata dal Touring Club Italiano, risaliva al lontano 14 febbraio 1909. Durante la Grande Guerra, con il grado di vettorel01caporale, era stato conduttore di automezzi militari, mentre la moglie Adalgisa era occupata nella locale filanda, svolgendo contemporaneamente saltuari lavori di sartoria per il nobile casato. ……………. Era un bel mattino di sole quello delle idi di marzo del 1924, quando, attaccati i buoi al carro dov’erano caricate fin dalla sera precedente le poche masserizie che possedevano, i Vettorel lasciarono Cordignano incamminandosi verso una nuova terra e un futuro ancora incerto. Uomini, donne e bambini, ognuno con il suo fagotto in spalla, seguendo il convoglio agrestre, attraversarono Conegliano e poi il ponte sul Piave, imboccando quindi la polverosa strada Schiavonesca verso Nervesa, raggiungendo Giavera in tarda mattinata. Ogni tanto si erano fermati per far riposare e rifocillare le bestie. L’ultima tappa fu alla sorgente “Forame” per poi affrontare la salita verso la quinta presa del Montello. Erano ormai le prime ore del pomeriggio quando giunsero alla loro Terra Promessa, in Via Bongiovanni. Nella nuova residenza, lontano da ogni vociare, il silenzio era quasi irreale. Solo varie specie di uccelli, con il loro volteggiare, accolsero i nuovi arrivati sull’epica rinomata collina. Ovunque si vedevano ancora i crateri lasciati dalle bombe, che la natura faceva del suo meglio per cancellare. Giunti a destinazione furono colti da un empito gioioso. Dimenticando ogni stanchezza, uomini e donne si misero alacremente al lavoro per sistemarsi come meglio potevano, mentre i bambini esploravano i dintorni, correndo dentro e fuori del bosco con la loro incontenibile allegria, foriera di tempi migliori. Davanti alla famiglia Vettorel si apriva un nuovo orizzonte, un futuro di speranza, anche se il debito contratto per quell’acquisto era di notevoli dimensioni. I primi a mettere piede in quello che era ancora territorio del Comune di Arcade, furono Pietro e Adalgisa con i loro figli e la nonna Caterina, oltre al cugino Antonio, figlio di Bortolo, con il suo nucleo, che si spartirono la spesa equamente divenendo proprietari ognuno per la quota di una metà.vettorel03 Antonio, cugino di Pietro e fattore dei Conti di Cordignano, negli anni Venti era emigrato a Vancouver (Canada), a disboscare foreste sulla costa del Pacifico della Brithis Columbia pensando di metter da parte un gruzzolo sufficiente ad acquistarsi una nuova casa. Inviò infatti alla moglie Anna Fiorrot il necessario per l’acquisizione sul Montello, rimanendovi tuttavia ancora alcuni anni, il tempo necessario per pagare tutto il debito e tornare con una discreta somma che desse tranquillità alla famiglia. Rientrato in Italia, lo colse la grande depressione del 1929-30 che mandò in fumo buona parte dei suoi risparmi. Si rimise pertanto a fare il contadino sul Montello. La moglie era originaria di Fregona, una brava e santa donna, mamma di Giuseppina (1913), di Bortolo (1915) e di Domenico (1920), tutti Vettorel...

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