Calzavara

LA FAMIGLIA CALZAVARA

“Il cognome Calzavara è tipico del Triveneto, in particolare di Venezia, Mirano, Santa
Maria di Sala, Mira, Pianiga, Martellago, Dolo e Spinea nel veneziano, e di
Campodarsego, Vigonza e Padova nel padovano; dovrebbe derivare da termini arcaici
semidialettali per indicare calzolaio o produttore di scarpe.
In Caltana vivevano Angelo detto Meto e la sua sposa Rosina che generarono Raimondo,
il quale si coniugò con Maria Muffato da Campocroce di Mirano. Si trattava di una famiglia
contadina, che lavorava le terre di un possidente di Padova, tale De Luca, di professione
veterinario. Vivevano in una casa di proprietà costruita da Angelo. Giacché però i sei
campi di terra che tenevano in affitto si trovavano in mezzo alla campagna lungo il Lusore,
affluente del Brenta, lontano alcuni chilometri, il figlio Raimondo pensò di costruire un
casone di legno e paglia con annessa stalla eretta con mattoni in creta, fabbricati a mano
e messi ad essiccare al sole su degli stampi appositi. Il tetto in particolare era ricoperto di
paglia, ovviamente ben intrecciata come solo degli esperti sanno fare. Il pavimento invece
era in terra battuta.
Nell’abitazione principale i Calzavara avevano una specie di laboratorio dove
confezionavano zoccoli trasformando il legno di robinia o di pioppo che era stato immerso
nell’acqua per un intero anno, quindi spellavano i tronchi, li tagliavano a pezzi e li
mettevano ad essiccare. Ad uno ad uno venivano racchiusi in una morsa e lavorati a
dovere fino a ricavarne delle suole che portavano tomaie di fustagno o di pelle e le più
pregiate addirittura di velluto. Ma c’era un genere di zoccoli a punta, completamente di
legno, scavati all’interno: era il cosiddetto tipo Dalmine, conosciuto anche come olandese.
[...] Essendo i Calzavara isolati in mezzo alla campagna, dovevano percorrere
quotidianamente circa un chilometro e mezzo di viottoli fangosi per giungere alla strada
comunale dove c’era il punto di raccolta. Gustavo Pravato da Pianiga, il lattaio, si
preannunciava con una trombetta. In cambio forniva loro delle formaggio. Se i Calzavara
erano in ritardo, il casaro ripassava la sera stessa e loro rifacevano nuovamente il lungo e
tortuoso percorso a piedi attraverso i cavìni.
Oltre alle due mucche, la famiglia di Raimondo allevava dei ruspanti che vivevano liberi.
La terra veniva concimata esclusivamente con il letame per cui il quantitativo prodotto era
piuttosto scarso se rapportato ai ricavi odierni, poiché non venivano impiegati concimi
chimici, inoltre tutte le lavorazioni erano svolte a mano, avvalendosi anche dei bovini. La
famiglia però aumentava costantemente e il fabbisogno di pari passo.
Conscio della situazione, all’inizio degli Anni Trenta il De Luca propose loro di spostarsi in
una tenuta molto più vasta a S. Giorgio al Tagliamento (Venezia), ai confini con il Friuli
Venezia Giulia, probabilmente acquisita dopo le bonifiche. Si trattava di novanta campi di
terra, da lavorare a mezzadria con altri coloni. Le condizioni poste dal possidente non
erano certo delle migliori, giacché significava spartire tutto equamente, perfino le uova del
pollaio, ma non c’erano alternative: o loro o qualche altro, ed era una lotta tra poveri.
Raimondo accettò e, nel novembre 1932, portandosi le due mucche, la moglie con
Ortensia, la figlia più piccola, Alessandro e Antonio, si trasferì a San Giorgio al
Tagliamento, mentre il resto della famiglia rimaneva per ora a Caltana. Durò una
settimana il trasloco e, com’è intuibile, a dettare il ritmo erano le mucche: Raimondo colmò
la distanza a piedi, mentre i figli lo seguivano o lo precedevano in bicicletta. Di notte
chiesero ospitalità a delle famiglie rurali che incontrarono sul percorso, dormendo nei
fienili.
Qualche tempo dopo Alessandro rifece il percorso inverso in bicicletta fino a Caltana per
accompagnare anche Marta nella nuova residenza. Partirono qualche giorno dopo a
cavallo della propria bici, ma dopo pochi chilometri il ragazzo si fermò per un impellente
bisogno dicendo alla sorella di proseguire e che l’avrebbe presto raggiunta. Rimessosi in

sella e giunto ad un bivio, Alessandro non si accorse di sbagliare strada e anziché dirigersi
verso Treviso, imboccò la direzione per Mestre, anche perché di indicatori stradali
nemmeno l’ombra. Marta, imperterrita, pur voltandosi spesso indietro, proseguì per la sua
strada finché nel pomeriggio giunse a Portogruaro, scendendo finalmente dalla bicicletta
davanti all’ufficio postale sulla cui insegna c’era scritto “Telegrafo”. Entrò visibilmente
provata, salutò gli impiegati che risposero gentilmente a tono e raccontò loro la
disavventura. Disse che doveva arrivare a San Giorgio al Tagliamento nella tenuta di De
Luca e quelli prontamente gli telegrafarono che mandasse qualcuno a prenderla perché
non era in condizioni di proseguire: da Caltana a Portogruaro non aveva bevuto nemmeno
un sorso d’acqua. Dopo due ore infatti arrivò il possidente in persona sulla sua automobile
e trovò Marta addormentata sulla panchina fuori dell’ufficio postale. Si avvicinò e le chiese
se fosse lei la figlia di Beppo Calzavara - Beppo era il soprannome di Raimondo -.
Avutone conferma, il veterinario specialista nella cura dei cavalli la fece salire
sull’automezzo e l’accompagnò nella sua tenuta dove l’attendevano ansiosamente i
genitori e proprio in quella arrivò pedalando Alessandro. In seguito, uno dopo l’altro, a San
Giorgio al Tagliamento si unirono anche gli altri familiari e lì iniziarono una nuova vita.
[...] Una sera d’inverno arrivò un gruppo di partigiani triestini con un informatore che
abitava in un casello ferroviario poco lontano dai Calzavara. La famiglia era radunata nella
stalla dove il calore non mancava perché vi custodivano una ventina di capi. Si presero
una mucca e, dopo averla uccisa, la macellarono sul posto. Raimondo li pregò di lasciargli
almeno la testa per dar da mangiare ai figli, ma quelli, insensibili, alla fine gli lasciarono
soltanto le corna...
La storia completa di questa famiglia si trova nel IV volume “Famiglie d’altri tempi”, richiedibile all’autore
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