Bordignon

bordignonLa famiglia Bordignon è in Postioma dal 1840, quando Bartolomeo (1807), soprannominato “Rossetto” forse per il colore dei capelli o per la sua carnagione, vi giunse con la compagna di vita, Augusta Boser da Fontane. I due coniugi giunsero nella frazione di Paese (Treviso-Italy) provenendo da Padernello. Bordignon, pur presente nel comune di Paese, non è un casato originario di questo territorio, famiglie omonime erano e sono tuttora a Quinto di Treviso dove, sulle sponde del Sile, svolgevano la fiorente attività di mugnai. Sembra però che il “Rossetto” non fosse giunto a Postioma per fare il fittavolo di qualche possidente, ma acquistando della terra. Ciò potrebbe supportare l’ipotesi che si fosse staccato da una famiglia abbiente, magari proprio da Quinto e avesse ottenuto dai suoi una buonuscita. Tra i personaggi famosi del casato è da annoverarsi il pittore ottocentesco Noè Bordignon (1841-1920), da Salvarosa (Treviso), che lasciò numerose opere ad olio in Venezia, dove aveva aperto il suo studio, quindi affreschi in varie chiese della Pedemontana, oltre che a Castelfranco Veneto dove s’era in seguito trasferito e a S. Zenone degli Ezzelini dove finì i suoi giorni. Aveva conseguito vari riconoscimenti anche dal mondo artistico contemporaneo e internazionale (Parigi e Liverpool). Sposato con Maria Zanchi era padre di sei figli. Tra i suoi quadri più famosi si ricordano “Fanciulli che cantano”, “Pappa al fogo”, “Interno di S. Maria dei Frari a Venezia”, “La mosca cieca”. Bartolomeo-“Rossetto” e Augusta si congiunsero in matrimonio nel 1828, mettendo piede in Postioma, nell’attuale Via Corazzin 33. Possedevano pochi appezzamenti di terra che aumentarono con le generazioni seguenti fino ad arrivare a ventiquattro campi, sparsi in varie località: Castagnèra, ae Coe, ai Comuni, al Talpon, ae Pignoe e al Campon. L’abitazione era una tipica casa di sassi, in stile rurale, a due piani con tre grandi porticati ad arco sul fronte. In un’ala, unita all’abitazione, c’era la stalla che, in tempi più recenti, ospitava otto vacche, sei vitelli e una cavalla grigia. I due coniugi misero al mondo cinque discendenti, tra i quali c’era Giacomo (1840-1916), che si sposò con la compaesana Candida Pietrobon (1848-1926). Nuovo impulso generativo avvenne attraverso i due coniugi che furono genitori di cinque consanguinei. La prima era Luigia (1877-1952), coniugatasi con Catterino Callegari (1871) da Musano. La seguì Antonio Bartolomeo (1875-1948), che fu ordinato sacerdote nel 1900. Per un decennio don Antonio fu insegnante di lettere nel Seminario Diocesano di Treviso, passando poi alla parrocchia di Canizzano, dove finì i suoi giorni. C’era anche Teresa (1883), sposata a Ciano del Montello con Alessandro Moretto (“Schitt”, 1879); uno dei loro figli è stato sindaco di Crocetta del Montello. La più giovane era Giovanna (1887-1960), detta Carolina, nubile, faceva la perpetua del fratello don Antonio. Terzo dei figli di Giacomo era Giuseppe (1879-1954), che ebbe la fortuna d’innamorarsi di Maria (1881-1973), figlia di Antonio Visentin (“Momi”) e di Angela Fighera. Connubio favorevole ad Antonio che s’imparentava così con una delle famiglie più benestanti non solo di Postioma, ma dell’intero comune. La sposa infatti portò in dote due appezzamenti situati ai “Comuni”. Durante la Prima Guerra Mondiale, sul cortile dei Bordignon erano accampate le truppe di retrovia con le vettovaglie, ma i graduati dormivano al tepore della stalla e nel granaio. Grazie a questa presenza, i Bordignon vissero un periodo di straordinaria abbondanza. Da Giuseppe Bordignon e Maria dei Momi, avanzò la generazione del XX secolo, otto figli nati nell’arco di quattordici anni, di cui sei di sesso femminile. Angelo e Luigi furono i primi a venire al mondo e gli unici ad imprimere per discendenza maschile un nuovo determinante impulso genealogico mettendo al mondo sette eredi ciascuno… D’estate si andava nei campi alle due di notte, con il chiaro di luna, per evitare la sfibrante calura. I buoi s’incamminavano lentamente per la bianca strada campestre con il carro al seguito, seguito dall’aratro. Una notte, in uno di questi trasferimenti, Giacomo stava seduto sul carro e “Berto” sull’aratro, ancora in preda ad un sonnolento torpore. Perfino gli animali, nel lento procedere, sembravano semiaddormentati, tanto che di tanto in tanto occorreva incitarli. In una curva a gomito l’aratro sbandò con il suo carico, che cadde nel fosso a lato. All’arrivo, Giacomo non vedendo più il fratello, pensò che gli avesse tirato uno scherzo, ritornando a letto. Ma quando, qualche ora dopo, il congiunto si presentò al lavoro, Giacomo seppe che Berto era caduto nel fosso, addormentato.

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